By Ugo Fabietti, Vincenzo Matera
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Di eccezionale fortuna godette anche la versione veneta (pure condotta su un originale testo franco-italiano), sulla base della semplicistica supposizione che Marco avesse redatto in dialetto veneziano la sua opera: molto antico (primi decenni del sec. XIV) è il frammentario testo a penna del ms. 3999 della Biblioteca Casanatense di Roma, e pure della metà del XIV il ms. 1924 della Riccardiana di Firenze; il 24 luglio 1445 lo scriba veneziano Niccolò Vitturi apponeva la sua firma al ms. CM 211 della Biblioteca Civica di Padova, mentre del XV secolo è l’altrettanto famoso codice berlinese Hamilton 424, detto «soranziano» perché già di proprietà del senatore Jacopo Soranzo.
Si parla insomma di ostacoli, limiti, confini, entro i quali stagna il cosmo delle certezze, oltre i quali la mentalità medievale accumula sogni, miti e leggende, a costante giustificazione dei propri terrori o della propria inerzia. IL MITO DELL’ORIENTE Distanze così artificiosamente create (e rispettate) erano la conseguenza più naturale della scarsa disponibilità di dati, cui «suppliva la fantasia, appagando egualmente l’esigenza occidentale di una visione completa e unitaria del mondo mediante l’integrazione delle parti sconosciute, secondo modelli o simboli arcaici, regole di simmetria, logica degli opposti» (Tucci); scienza e leggenda non sono nettamente distinguibili nel Medioevo nel momento stesso in cui la curiosità per l’ignoto appare equilibrata dalla paura che esso suscita: i popoli nomadi delle steppe euroasiatiche e in modo particolare i Mongoli, con il loro progressivo e rapido spostamento verso Occidente, raggiunsero sì lo scopo di abbattere frontiere ritenute invalicabili (e quindi di migliorare la conoscenza reciproca fra le due civiltà), ma incrementarono anche il patrimonio di leggende tradizionalmente riferito alle più pericolose stirpi d’Oriente, al punto che i Tartari furono di volta in volta identificati con l’Anticristo, con gli Ismaeliti, con Gog e Magog, cioè con entità mitiche capaci di distruggere con le loro forze infernali la civiltà occidentale (prospettiva che si giustificava senz’altro alla luce delle scorrerie mongole in Polonia e in Ungheria, che avevano gettato lo scompiglio fra i principi cristiani).
Come accompagnatori della principessa Cocacin, i Polo si imbarcarono l’anno seguente a Zaiton (l’attuale Ts’üan-chou, di fronte a Formosa), e costeggiando per il Mar della Cina arrivarono prima a toccare la costa vietnamita (il regno di Ciamba); quindi approdarono a nord di Sumatra, dove furono costretti a fermarsi per cinque mesi. Dall’Indonesia le 14 navi si diressero a Ceylon e alla costa meridionale dell’India, con diversi scali: il Milione ci offre un resoconto particolareggiato della navigazione, inserendo fra i dati acquisiti direttamente dal viaggiatore tutta una serie di notizie per udita (ad esempio sull’Arabia, il Madagascar, l’Africa orientale) che rendono assai articolato il panorama del viaggio.